• Fondazione Lanza
  • News
  • Eventi
  • Proget Edizioni

  • Home
  • La Rivista
    • Archivio
    • Vision
    • Mission
    • Comitato scientifico | Comitato di redazione
  • Ambiti Professionali
    • Bioetica
    • Ambiente
    • Economia
    • Formazione
    • Sport
  • La mia professione
  • Ethos Formazione
  • Quaderni di Etica
  • Contatti
  • Shop

SPORT: CAPITALE SOCIALE | Editoriale di Lorenzo Biagi

La ragione principale per cui la rivista di Etica per le professioni continua a essere fedele nell’accendere i riflettori sullo Sport, è data dal fatto che l’arcipelago delle pratiche sportive rappresenta, forse in maniera unica, quell’àmbito della vita degli uomini in cui meglio di altri emerge senza moralismi la natura dell’etica. Infatti, l’etica ha a che fare prima di tutto con la “forma di vita” e cioè con l’insieme di pratiche grazie alle quali gli uomini regolano la loro vita personale e comunitaria. E ogni forma di vita è fatta di esigenze di condotta e sentimento che tutti gli uomini condividono, anche se non sempre in maniera cosciente. È come un basso continuo che sostiene, quasi mai in maniera invadente, le nostre visioni di fondo e le nostre scelte, sulla base del nostro essere tutti uomini. Ma ci sono esperienze privilegiate in cui tutto questo tesoro sotterraneo viene alla luce per risplendere e per suscitare in noi un assenso spontaneo di adesione. Lo sport, radicato sull’universale antropologico del gioco, è una di queste esperienze privilegiate in cui tutti siamo contenti di rispecchiarci e di riconoscerci. Anche perché in queste esperienze ultime, il male non riesce mai ad annientare il bene che c’è in esse.

Abbiamo detto che lo sport è una di queste esperienze. Prima di tutto ce lo dicono alcuni dati essenziali dell’ISTAT, che l’hanno scorso ha fornito i dati del “no profit nello sport”. Le istituzioni non profit sportive sono 92.838, pari al 30,8% delle istituzioni non profit censite. Oltre sei istituzioni sportive su 10 sono nate nell’ultimo decennio (+ 61,5% rispetto al 2000), 6.800 quelle che hanno erogato i propri servizi a persone con i disagi. Nel settore è attivo un milione di volontari (il 92,2% delle risorse umane impiegate), 13mila lavoratori dipendenti e 75mila lavoratori esterni, per lo piú giovani: il 23,7% è under 30. Sono 61mila gli atleti, allenatori, accompagnatori, istruttori. Nel corso del 2011 le istituzioni sportive hanno registrato un flusso di entrate economiche di oltre 4,8 miliardi di euro di entrate (il 7,6% del totale relativo al non profit) e di uscite di oltre 4,7 miliardi di euro (8,2%). Il settore è cresciuto del 5% nel totale non profit rispetto al 1999, mentre è cresciuta di oltre il 60% la quota di istituzioni sportive costituitesi nell’ultimo decennio. Nel settore è attivo un milione di volontari, 13mila lavoratori dipendenti e 75mila lavoratori esterni. È alto il livello di partecipazione dei soci, circa il 75% del totale. Bolzano, Valle D’Aosta, Trento, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Marche sono i territori in cui l’attività sportiva è piú diffusa. Il privato è la principale fonte di finanziamento. Inoltre, dallo studio emerge che sono oltre 4 milioni e mezzo gli atleti italiani tesserati (il 31% in piú rispetto al 2003) dagli organismi riconosciuti dal CONI, un milione invece gli operatori sportivi (dirigenti sportivi e federali, tecnici e ufficiali di gara) e 64.829 le società sportive. Numeri che continuano a crescere: è pari al 3,6% la crescita decennale del numero di società sportive, 1,6% quella relativa al numero degli operatori sportivi. Il 54% è la percentuale degli atleti tesserati che ha meno di 18 anni. Il 30% ha un’età compresa tra gli 8 e i 13 anni, mentre il 25% ha un’età superiore a 36 anni. A livello di pratica sportiva ammonta al 42% la percentuale dei sedentari, ma sono aumentati, fino a toccare il 30%, i praticanti assidui.

Anche se il quadro statistico non è completo, ci accorgiamo che stiamo parlando di qualcosa che conta veramente nel nostro paese. E se i numeri non riescono a dire talvolta quello che piú conta, almeno in questo caso essi indicano un senso e una direzione. Il senso risiede nel fatto che lo sport costituisce stabilmente un asse portante della nostra vita sociale. Un polo performativo della nostra forma di vita. Un ambiente in grado di dare forma a valori e regole di vita che contribuiscono a farci vivere bene insieme, valorizzando nello stesso tempo ciò che ciascuna persona porta in sé di originale e di proprio.

La direzione è altrettanto importante: non possiamo mortificare e svuotare dall’interno l’ambiente sportivo caricandolo soltanto sul valore economico e commerciale. Se il denaro diventa l’unico generatore simbolico, colonizzando anche lo sport, dobbiamo essere consapevoli che alla fine lo sport viene certamente ucciso e con esso anche un pilastro della nostra forma di vita di uomini.

Ma in questo numero le diverse esperienze di vita sportiva e sociale raccolte ci vengono a dire che la specialità dello sport è anche quella di rendere testimonianza che, come affermava il filosofo Paul Ricoeur, il bene è anteriore al male e possiamo «verificare che per quanto radicale sia il male, esso non è cosí profondo come la bontà». Dobbiamo ringraziare in modo particolare Daniele Redaelli e Gian Luca Pasini, de La Gazzetta dello Sport, che con i loro “racconti di vita” sono andati a scovare questa profondità del bene che lavora grazie allo sport per ridare dignità a persone e comunità. Forse per ora sono delle oasi. Ma le oasi indicano il sogno ricorrente degli uomini di fare del mondo una grande oasi aperta a tutti. Senza muri né frontiere.

Lorenzo Biagi

  • Posted by Etica per le Professioni
  • on 30 novembre 2016
  • Comments are off
  • Giornalisti , Guide alpine , News , Psicologi , Rivista , Sport ,
Read More